Come indicato dalle Linee di Indirizzo dell’ISS (2015, 2018) e dalle Linee Guida del SINPIA (2015), non esiste un unico modello di intervento per cui si ha evidenza clinica per i Disturbi dello Spettro Autistico. Ci sono tuttavia alcune caratteristiche che tutti gli interventi dovrebbero avere:
– essere tempestivi: iniziare a lavorare con il bambino il più precocemente possibile;
– essere ecologici: operare nei contesti di vita del bambino (famiglia, scuola e tempo libero);
– essere condivisi: i vari servizi coinvolti dovrebbero coordinarsi per raggiungere gli stessi obiettivi con le stesse strategie.
Il Disturbo dello Spettro Autistico all’interno del DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, versione 5) viene definito da due criteri principali: la presenza di «deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale» e «pattern di comportamento, interessi o attività ristretti e ripetitivi». Tra i fattori importanti da osservare, quindi, per individuare e diagnosticare tale disturbo precocemente, rientrano le modalità di gioco del bambino, poiché esse sono indice dello sviluppo sociale e dell’interesse verso il mondo che lo circonda.
Le tappe del gioco
Nel primo anno di vita il gioco sensoriale e motoriopermette al bambino di conoscere il proprio corpo e il mondo intorno a lui. Mettere mani, piedi o oggetti in bocca, agitare e muovere braccia e gambe, ricercare, afferrare, scuotere, manipolare.
Il gioco diventa in seguito combinatorio, ovvero il bambino sperimenta e cerca di mettere in relazione due o più oggetti, inizialmente in modo casuale e poi volontario. Si acquisisce così il gioco funzionale: il bambino dimostra di aver appreso il significato sociale degli oggetti e il loro rapporto funzionale (es: cucchiaio/piatto, spazzola/capelli). Inizialmente, sarà orientato solo verso l’oggetto (ad esempio, il bambino prenderà una pentola, ci metterà il cucchiaio e lo farà girare, facendo finta di cucinare); solo successivamente sarà in grado di orientare il gioco verso se stesso (quindi farà finta di mangiare da quella pentola), verso un pupazzo (es: farà mangiare la bambola) e, infine, verso gli altri (es: imboccherà la mamma). Si inizia a costruire così uno scambio non solo con l’oggetto, ma anche con l’altro.
Attorno ai 18 mesi il bambino è solitamente pronto per sviluppare il vero e proprio gioco del far finta (gioco simbolico), il quale dimostra la capacità di costruire delle rappresentazioni mentali del significato dell’oggetto, a prescindere dalla funzione reale. A poco a poco l’oggetto prende vita nelle mani del bambino che lo fa parlare, camminare, giocare insieme a lui. Inizia a emergere la teoria della mente, ovvero la comprensione degli stati mentali propri e altrui. Dai 2/3 anni il bambino inizia prima a imitare e poi a ricercare i pari per il gioco. A partire dai 4 anni il crescente interesse per il gioco cooperativo rispecchierà lo sviluppo affettivo e sociale del bambino.
Il gioco come terapia
Il gioco nei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico non sempre emerge come descritto sopra; spesso il bambino può essere rimasto a una tappa di sviluppo precedente rispetto alla sua età. Anche il gioco simbolico, se presente, può risultare ripetitivo e non spontaneo. Può mancare il piacere nel gioco condiviso. Ciò, tuttavia, non significa che il gioco non sia importante per questi bambini, piuttosto essi hanno un modo di giocare o degli interessi differenti rispetto a quelli degli altri. Tali interessi, a volte, possono assorbire in modo esagerato la loro attenzione.
È utile quindi comprendere cosa sia motivante per il bambino. Agganciarsi a questo consente di utilizzare il gioco (in tutte le sue forme) come mezzo per far emergere le abilità di interazione sociale.
In particolare, il gioco permette di lavorare su quelli che vengono chiamati prerequisiti dell’intersoggettività primaria, ovvero l’orientamento e l’attivazione verso uno stimolo; l’interesse per il viso umano e la sua espressione, l’alternanza dei turni e la capacità di integrare diverse modalità sensoriali (es. visiva e uditiva); e dell’intersoggettività secondaria, caratterizzata da attenzione congiunta, imitazione, emozione congiunta, intenzione congiunta.
Attraverso queste abilità sarà quindi possibile costruire la relazione con il bambino con Disturbo dello Spettro Autistico e attraverso di essa lavorare verso l’acquisizione di altre abilità, come il linguaggio, o verso il potenziamento delle capacità cognitive. Inoltre, intervenire stimolando il gioco permetterà di ridurre gli interessi e i comportamenti restrittivi e stereotipati, ampliando così le attività a cui il bambino può essere interessato e da cui può trarre piacere.
Le sezioni di gioco in senso educativo e riabilitativo dovranno essere innanzitutto organizzate nello spazio fisico e strutturate nel tempo. Ciò significa che il bambino deve riuscire a identificare visivamente dove si gioca: deve essere uno spazio circoscritto, privo di distrattori, comodo e confortevole. Può essere un tappeto, una stanza. Inoltre, il tempo può essere scandito da rituali e deve tener conto delle risorse attentive del bambino, in modo da prevenire momenti di stanchezza e/o eventuali comportamenti problema.
Per far sì che l’attività di gioco sia motivante è bene partire dal livello di sviluppo del bambino, da ciò che egli può capire ed è in grado di fare, tenendo conto di quelli che sono i suoi interessi. In particolare, nei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico può essere motivante ciò che è sensoriale, in senso visivo (forme, colori, oggetti in movimento), uditivo (canzoni, filastrocche, suoni onomatopeici) o fisico (arrampicarsi, correre, roteare). Questo è un primo passo per creare un ambiente confortevole e iniziare a tessere le trame della relazione.
Il gioco ci permette di costruire una routine sociale: se al bambino piacciono attività di tipo senso-motorio, come ad esempio il solletico o il gioco del rincorrersi, queste si possono utilizzare per creare uno scambio con l’adulto. In questi casi l’adulto è fonte del piacere, poiché è colui che fisicamente fa il solletico o rincorre il bambino. Quest’ultimo cercherà di far proseguire l’attività e l’adulto potrà agganciarsi a questo desiderio per promuovere l’attenzione congiunta attraverso, ad esempio, la ricerca e lo scambio di sguardi, e per creare nel bambino il bisogno di comunicare con sguardi, gesti, suoni, sorrisi.
La ripetizione di questo gioco consentirà anche una condivisione di emozioni positive nate dal piacere non solo di ricevere ma anche di fare solletico. Un presupposto essenziale è che l’adulto si diverta insieme al bambino!
Ecco come attività apparentemente semplici rappresentano occasioni preziose per promuovere una relazione positiva e la comunicazione con l’altro. L’obiettivo sarà poi quello di favorire un gioco semi-strutturato: se da una parte infatti si dovrà seguire la motivazione del bambino, dall’altra il terapista o il genitore dovrà inserire delle variazioni, avendo sempre chiari gli obiettivi per cui si sta utilizzando quel gioco. L’equilibrio tra novità e ripetizione consentirà di arricchire il repertorio ludico, passando da un gioco senso-motorio a un gioco funzionale, fino al gioco simbolico e, infine, a un gioco sociale.
Tra le opportunità che offre il gioco c’è quella di poter generalizzare attività e obiettivi in diversi contesti data la facilità, per insegnanti e genitori, di aver occasioni per giocare con il bambino. I genitori, inoltre, potranno sentirsi parte attiva della terapia, sperimentando un senso di efficacia e di gratificazione. Da una parte, infatti, potranno apprendere dal confronto con la terapista strategie di gioco più funzionali, dall’altra, essendo “esperti” dei propri figli, potranno offrire molti suggerimenti al terapista. Il gioco aiuterà a riscoprire alle mamme e ai papà il fluire di emozioni positive, che a volte manca e di cui spesso si ha bisogno.
All’interno di un programma più esteso di trattamento, l’intervento centrato sul gioco consente quindi di promuovere lo sviluppo di abilità socio-relazionali, comunicative e cognitive, nel rispetto dei bisogni, dei tempi, delle modalità di apprendimento e delle caratteristiche individuali di ogni bambino!
Il Reiki per i bambini
Abbiamo già ampiamente descritto i benefici che i trattamenti Reiki possono portare ai bambini: dai neonati fino ai bambini/adolescenti.
I vantaggi sono talmente tanti che l’associazione SpazioCOPA ha in cantiere anche un Corso Reiki per i Bambini caratterizzato da una didattica ad hoc adatta alla loro età.
Non sempre però è possibile far frequentare direttamente a un bambino il Corso Reiki rendendolo autonomo nella pratica soprattutto nei casi di patologie come l’autismo. È però possibile dare la possibilità al bambino di ricevere trattamenti Reiki in presenza e a distanza oppure rendere autonomi i loro genitori che potranno realizzare trattamenti ai figli ogni volta che possono.
L’aiuto che il Reiki può dare a chi è affetto da autismo:
- Possibilità di connettersi con un’altra persona in un modo diverso. Uno dei tratti distintivi dell’autismo è la difficoltà nell’interazione sociale. I bambini e gli adulti con ASD possono avere difficoltà a stabilire un legame con le persone che li circondano, siano essi familiari o compagni di classe. Durante le sessioni di Reiki la persona avrà la possibilità di relazionarsi con l’operatore/reikista in modo particolare.
- Riduzione dello stress e dell’ansia. Le persone con autismo sono spesso irrequiete e iperattive. Gli studi hanno dimostrato che il Reiki riduce stress e ansia e ha un effetto calmante.
- Migliore qualità del sonno. L’autismo può disturbare il riposo notturno, il che porta a peggiorare i sintomi e lo stress. Il Reiki permette al paziente di ottenere un sonno più riposante e ristoratore.
- Maggiore controllo sul disturbo. I genitori di bambini autistici, così come i bambini stessi, spesso sentono di essere alla mercé di un disturbo che non possono controllare. Le sessioni di Reiki permettono sia ai bambini che ai loro familiari di essere proattivi e sviluppare il loro self-empowerment riguardo al trattamento dei sintomi e al miglioramento della qualità della vita.
Il Reiki per l’autismo: cosa dice la medicina e la ricerca
In un articolo pubblicato su Autism/Asperger’s Digest Magazine nel 2000 Lewis Mehl Madrona (Coordinatore per la medicina integrativa dell’Università dell’Arizona) scrive: “Abbiamo condotto uno studio pilota sul trattamento Reiki per bambini autistici. I risultati preliminari sono incoraggianti, specialmente quando i genitori usano il Reiki insieme agli appuntamenti formali con il terapeuta. L’uso del Reiki da parte di genitori e dei terapeuti sembra incoraggiare la comunicazione non verbale. I bambini sono più calmi e hanno meno stimoli“.
Reiki e autismo: la particolarità
Sebbene alcuni studi e rapporti indicano che il Reiki può essere utile per le persone con autismo, realizzare trattamenti Reiki in questa situazione può essere una sfida per l’operatore. Soprattutto nel caso dei bambini piccoli, l’autismo rende difficile rimanere immobili e tranquilli per lunghi periodi di tempo. Alcuni genitori di bambini autistici riferiscono che le sessioni di Reiki hanno più successo quando il bambino è assonnato o addormentato. Altri genitori raccontato che sono più efficaci trattamenti più brevi e frequenti. Altri ancora hanno trovato un grande benefico nell’apprendere le tecniche Reiki di secondo livello.
Sei un genitore, un caregiver, un operatore sanitario in contatto con un bambino autistico?
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